Zattera

 

“E’ morto Zattera”. Chi me lo comunica, al telefono, é un vecchio compagno di scuola.

Il tam-tam tra gli ex allievi della sezione Termotecnici 1967 dell’Istituto Tecnico Feltrinelli é arrivato anche a me.

“Quanti anni aveva?”

“E chi lo sa, certo era vecchio, aveva giá la sua bella etá quando insegnava a noi”

“Mi dispiace davvero”

“Sí, era veramente uno fuori dal comune”

“Puoi ben dirlo, che storie nella sua Officina Termotecnica...”

“Certo, ti ricordi di quella volta che abbiamo chiuso il Pivetta nella cella frigorifera e abbiamo messo il compressore al massimo?”

“Siii! E lui da dietro il vetro spesso dell’obló, col bavero della giacca alzato, che muoveva la bocca...”

“...e potevi leggergli il labiale: ststst...ronzi, facce di mememe...”

“Sí, perché quando si arrabbiava, tartagliava!”

“Minchia che avventure..., e Zattera faceva finta di non vedere”

"Sí, lui era speciale, ci sono insegnanti a cui scopri di aver voluto bene"

“Giá, é proprio vero"”.

 

Zattera. Nessuno sapeva come facesse di nome di battesimo. In un contesto di insegnanti dottori, ingegneri, esimi professori che poteva vantare il Feltrinelli pre-sessantotto, lui, il docente di Officina Termotecnica, il laboratorio di motoristica, per tutti era semplicemente “Zattera”.

Anche noi, senza alcuna volontá di irreverenza, lo chiavamo semplicemente cosí, agli altri ci rivolgevamo con “ingegnere”, “professoressa”...; a quei tempi ancora non era entrato nel lessico scolastico l’allocuzione sintetica “prof”, come mi avrebbero chiamato i miei allievi del corso di “Project Management” diversi anni dopo, sempre lí al Feltrinelli, ma erano cambiate molte altre cose.

Non c'era più il clima di consapevolezza di appartenere all'olimpo della tecnologia e della scienza in campo europeo, era diventata una scuola come tante con i muri scarabocchiati e le attrezzature fatiscenti. Anni di tagli finanziari dello Stato avevano fatto scempio di uno dei piú grossi centri di cultura tecnica nazionale.

 

Zattera indossava un camice nero e pantaloni sempre ben stirati.

Un’etá indefinibile, un grande naso adunco che reggeva vecchi occhiali dalla montatura di osso con lenti da super-ipermetrope che sembravano due fanali e che ingrandivano a dismisura i suoi occhi azzurri e penetranti.

Il capo completamente calvo era tappezzato di cicatrici nerastre e rosate tra le macchie scure della vecchiaia.

Il viso era pieno di rughe e la bocca mostrava denti ingialliti da una vitalizia dedizione alle N blue, le famose Nazionali senza filtro.

Zattera ti spiegava come é fatto un motore come un esperto del Rinascimento potrebbe descriverti un quadro di Botticelli.

Il motore non solo lo capivi, lo vedevi funzionare, ne sentivi la musica concitata dei cilindri, il ticchettío diligente delle punterie, il rombo prepotente della marmitta.

Durante le esercitazioni pratiche ti appariva alle spalle come un angelo custode dall’aspetto un po’ mefistofelico e ti avvisava:

"Riduci un po' la fase, questo é un motore con rapporto di compressione spinto" o “Occhio a quella molla, tienila bloccata con la pinza mentre la smonti sennó ti vola sul soffitto”.

 

Nei momenti di relax raccontava le sue avventure giovanili.

Tutto sempre legato ai motori, corse in auto, in moto, in aereo.

“Ne ho avuto di incidenti, in moto, anche in aereo, ma me la sono sempre cavata con pochi danni... solo in macchina mi sono bruciato un po’...”

Noi lo ascoltavamo come ragazzini riuniti intorno a un nonno che racconta le storie della guerra.

 

Visto di profilo con il grande naso aquilino, il cranio calvo un po' oblungo e le spalle curve su un corpo più alto della media, comunicava un senso di proiezione in avanti, di aerodinamicitá naturale. L'uomo proiettile.

 

Indimenticabile il sorriso che nella sua fisionomia di vecchio si traduceva in un sogghigno ammiccante e sornione.

 

Ho cercato su Internet qualcosa su di lui, Zattera, motociclismo, termotecnica, raid aerei... niente, neanche la più piccola citazione.

La mia colf, grazie al fatto di appartenere all'Associazione dei filippini a Milano e aver rilasciato un'intervista di 40 secondi per strada a Radio Lombardia, compare quattro volte.

Su Zattera nulla, dissolto come il fumo di un'accelerazione della sua Indian Four 1265 cc magistralmente truccata.

 

I suoi due assistenti, Adriano e il Passero Strapelato, sono entrati una mattina e l'hanno trovato seduto alla cattedra, la testa reclinata sul petto come se dormisse. Non ha risposto al saluto e allora l'hanno guardato meglio e hanno visto la bruciatura del mozzicone consumato tra le dita.

Zattera se n'era andato cosí, tra due boccate di fumo, fulmineo come la sua moto, curvo in avanti verso il prossimo traguardo.  

Con il ghigno irridente, il casco di cuoio slacciato e il foulard al collo che sventolando schiaffeggia la morte aggrappata sul sellino posteriore.

 

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Il pomeriggio sonnecchia pigro sotto il sole di una domenica di metà luglio.

Anch'io tergiverso stravaccato sul divano, la TV accesa rimanda il Gran Premio di MotoGP di Laguna Seca.

Le moto scivolano sulla pista come uno sciame di calabroni prepotenti che si lasciano trascinare in delicati trefoli di brezza. Il colore delle tute e delle macchine si interseca, si alterna, si sovrappone, come onde vivaci di un corso d'acqua multicromatico.

Honda, Ducati, Yamaha, Kawasaki..., il tono monocorde del telecronista si stempera nell'ululato gutturale dei motori che si danno battaglia.

 

Lei è andata giù qualche giorno a trovare i suoi e io mi godo una domenica senza occupazioni, senza progetti, in totale libertà e pigrizia fisica e intelletuale.

La TV e due dita di Jack Daniel's on the rocks come compagni del disimpegno.

 

Un altro piccolo sorso mentre il cronista sottolinea il vantaggio dei due capofila dal gruppo che insegue.

Il bourbon è ormai annacquato e tiepido. Mi verso un'altra dose e controllo sul video: dieci giri alla fine, Rossi e Stoner, soli in testa, se la stanno giocando all'ultimo sangue con reciproci sorpassi gomito a gomito. Si prospetta un finale di fuoco.

Troppo tempo aspettare che finisca la corsa, devo andare adesso a recuperare del ghiaccio.

Istintivamente calcolo con un'occhiata la distanza del divano dalla cucina. Un ultimo sguardo al video per fissare la situazione e scatto con destinazione il frigo.

Andata, rifornimento di quattro cubetti dal freezer, ritorno e ripresa del contatto con la corsa: un pit stop di otto secondi netti, record.

 

Il sorso rimane sospeso a metà: Stoner é finito nella ghiaia e cade.

Ma si rialza e balza nuovamente in sella. Sí ma ormai non recupera piú, forse riesce ancora ad arrivare secondo.

Bandiera a  scacchi: Valentino Rossi, Casey Stoner, Vermeulen, Andrea Dovizioso Nicky Hayden... e via via tutti gli altri, come diceva Adriano Dezan nel ciclismo. Magico Valentino!

 

Poso il bicchiere e mi rilasso, la telecamera indugia tra le ovazioni dei tifosi e i rientri ai box dei piloti.

E' una sarabanda di gesti, di bandiere, di colori. La carrellata si sofferma su una moto all'ingresso della scuderia, i meccanici si agitano intorno al centauro con la tuta nera che si sta togliendo il casco.

Non lo riconosco, lui si gira verso la telecamera che ne approfitta per dedicargli un primo piano.

 

L'immagine d'improvviso si blocca mentre il televisore si mette a ronzare, il ghiaccio nel bicchiere tintinna, il pilota mi guarda, mi strizza l'occhio e il suo viso si apre in un sorriso luciferino.

 

Non dura più di due-tre secondi, il ronzio cessa, le immagini riprendono a scorrere, il cronista scandisce la classifica del mondiale.

Mi accorgo che senza volere anch'io sto sorridendo.

Bentornato Zattera, la corsa continua.