Nam-myoho-renge-kyo

Nam-myoho-renge-kyo” è il titolo in cinese antico del Sutra del Loto, il più profondo insegnamento del Buddha, ed é il mantra dei seguaci del monaco buddista giapponese Nichiren Daishonin (sec. XIII).

   

 

L’agente X121 della Polizia locale stava immobile sul marciapiedi; la foschia mattutina di un inverno precoce sfumava le cose lontane nel grigiore di una brutta città.

Allineate su due file le auto che provenivano da via Vagli attendevano al semaforo, qui la via terminava nella confluenza a T con la via Baroncini dove dovevano svoltare a destra, svolta obbligata. Nessuno capiva quel divieto di svolta a sinistra ma le logiche di quelli della Viabilità sono sempre imperscrutabili.

Nella consuetudine dei momenti di maggior traffico, molti comunque ignoravano il divieto anche in presenza del vigile.

Rispettarlo significava dover andare giù fino in piazza Alemanni, fare la rotonda e tornare indietro.

A quell’ora nessuno ha tempo da perdere e all’agente X121 della Polizia locale poco importava. Ne fermi uno e intanto altri venti passano e poi ad ogni multa discussioni, millantate emergenze, piagnistei. Che andassero tutti a farsi fottere.

 

Era l’ora di punta mattutina e l’agente X121 della Polizia locale aveva ancora in bocca il gusto sciapo del caffè del bar sottocasa. Il padrone metteva la tazzina sul banco e non si preoccupava di riscuotere, un vigile che all’occorrenza ti toglie le multe val bene un caffè.

 

L’attenzione dell’agente, al disotto della visiera del cappello, abbassata quanto basta per vedere e tenere nascosti gli occhi, identificò al volante della terza auto in coda una persona nota. Una donna.

Al verde le prime due vetture svoltarono disinvoltamente a sinistra, la terza le seguì.

L’agente scattò scendendo dal marciapiedi con la mano levata. L’autista rallentò con un’espressione incredula. Lui fece cenno di accostare. L’auto si fermò presso il marciapiedi qualche metro dietro alla vettura della Polizia locale.

 

Portò la mano alla visiera.

La donna, una signora poco piú che trentenne, bionda, di rara bellezza rafforzata da uno sguardo dolcissimo abbassò il finestrino.

“Favorisca patente e libretto”  disse in tono neutro sfilandosi un guanto.

“Posso sapere perché mi ha fermato?”

“Lei ha svoltato a sinistra nonostante il divieto”

“Ma lo fanno tutti, anche le auto che avevo davanti… “

“Io ho visto lei, mi favorisca patente e libretto”

La signora fece un sospiro rassegnato, trasse i documenti dalla borsa.

“Vediamo per favore di fare in fretta, ho portato i bambini a scuola e sto andando al lavoro”

L’agente prese i documenti e si avviò alla propria auto, si sedette, chiuse lo sportello e si accese una sigaretta. Si attardò esaminando i documenti. Chiara Orlando… data di nascita… Portella della Ginestra… dov’è ‘sto posto? Non hanno neanche messo la provincia… vedova… impiegata.

Al comando se la ricordavano tutti, era stata lì  due-tre volte per questioni amministrative.

Una persona che al di là della bellezza fisica emanava una luce interiore espressa nei modi, nello sguardo, nella voce.

Guardò la fotografia. “Bella figa” pensò, “Ti scoperei qui, su questa macchina, adesso”

Automaticamente prese il libretto delle contravvenzioni e la penna, spense la sigaretta nel portacenere e scese con strafottente lentezza.

La signora lo guardava fisso. La dolcezza  del suo sguardo era ora di severa disapprovazione.

Lui evitò lo sguardo: “Le elevo contravvenzione, sono 84 euro, ha 60 giorni per pagare”

Staccò il modulo, lo consegnò, riportò la mano al cappello e tornò alla macchina.

Si accese un’ altra sigaretta e si stirò sulla poltrona. L’aspirazione profonda venne però interrotta da un battito sul vetro.

Era lei.

“Tenga, è per lei, buona giornata” e gli porse un biglietto.

Era un foglietto strappato da un notes.

Sopra, scritta a biro, una strana frase: “Nam-myoho-renge-kyo”.

L’agente X121 della Polizia locale rimase qualche secondo perplesso. Poi il suo cervello cominciò a girare vorticosamente.

 

Che cazzo è ‘sta roba? Un insulto? Gliela faccio vedere io a quella zoccola… o forse una trappola, sì certo, adesso io butto il biglietto dal finestrino e lei… Guardò nello specchietto. La signora era tornata alla sua auto e si apprestava a ripartire.

Scese rapidamente e fece un cenno di alt.

La signora abbassò il finestrino, il suo sguardo era tornato di una serenità accarezzante.

L’agente si sentí un idiota, il piglio di cui andava fiero era come evaporato e la mancanza del cappello che per la fretta aveva lasciato in macchina certo non lo aiutava.

 

“Posso renderglielo?” grugní.

“Certo, se preferisce così… buongiorno”

 

Guardò l’auto allontanarsi incapace di darsi una spiegazione.

 

Si guardò rapidamente in giro come se qualcuno potesse avere visto e capito, la città tumultuava intorno senza preoccuparsi di nulla e di nessuno.

La foschia cominciava a diradarsi sotto un debole raggio di sole.

“Che vita di merda…” pensò “…in questa città di stronzi, a prendermi qualche malattia respirando i loro gas di scarico, figli di puttana”.

 

Tornò alla macchina. Aveva bisogno di fumare.

 

Il sole aveva trovato uno spiraglio nello smog e accarezzava le case, i campanili, la gente affaccendata ma lui, cervello di squalo e cuore di serpente, non se ne accorse, i pensieri persi nella palude della sua mente.

 

 

 

Il racconto non può essere migliore perché tutti i fatti citati sono reali e sono stati raccontati cosí come sono successi. Sono solo arbitrari la toponomastica e il caffé così come sono presunti i sentimenti e i pensieri espressi o impliciti dei protagonisti. Anche il numero di matricola X121 non é quello reale.