Il barbiere di Chioggia III°

 

Cammino senza una direzione nelle viuzze del centro. Quando mi riscuoto dal tumulto dei miei pensieri non so piú dove mi trovo. Istintivamente sollevo lo sguardo all’angolo del vicolo: Calle Famagosta...

 

Il negozio ha una sola luce, l’insegna dipinta verde scuro con la scritta in bianco dice “Barbiere” in corsivo.

Una tendina fissata a mezza altezza lascia libera alla vista la parte superiore del vetro.

Entro. Tre uomini, anziani, stanno seduti su una panca accostata al muro, un quarto sta su una delle due poltrone . Due lavabi, due specchi, due armadietti, due lampade accese sul soffitto basso.

Un giro di perline copre i muri fino a mezza altezza, sulla parete in fondo una piccola madonna con dei rametti di ulivo secco in un vaso.

Distribuiti attorno, quadretti di varie dimensioni con vecchie fotografie.

Il barbiere é un ragazzo sotto la trentina con uno spolverino a righine azzurro sbiadito.

Al mio ingresso tutti hanno smesso di parlare e sono rimasti a guardarmi.

Nei loro sguardi leggo: “Chi é questo foresto che viene ad interrompere le ciácole da barbiere di quattro pensionati? Forse un turista che si é perso e cerca il vaporetto per tornare a Venezia?”

“Dica”. E´un ragazzo alto, con i capelli neri corti, un po’ mossi. Non ha le orecchie a sventola ma gli occhi sono quelli di suo padre.

“Vorrei... vorrei farmi i capelli, c’é molto da aspettare?”

“No, solo questo signore, si accomodi”

I vecchietti riprendono i loro discorsi ma sento che non sono a loro agio, anche se certamente non c’é nulla di cui sentirsi imbarazzati, la presenza di un estraneo guasta l'atmosfera del loro covo.

Non devo aspettare molto e con il cliente servito se ne vanno anche tutti altri. Per loro oggi la giornata é rovinata.

Mi accomodo nella poltrona imbottita.

“Senta, volevo chiederle, non é che invece mi farebbe la barba?”

“Certamente, solo mi sembra che il signore oggi si sia giá sbarbato...”

“Sí, in veritá volevo chiederle se poteva farmi la barba con il rasoio, voglio dire un rasoio vero”

“Potrei, ma purtroppo non mi é permesso, é proibito usare i vecchi rasoi, adesso usiamo le lamette usa e getta, é una prevenzione sanitaria”

Lo guardo attraverso lo specchio, ha lo sguardo paziente e l’atteggiamento premuroso.

“Sí lo so, ma credo che ormai solo in una bottega come la sua si possa trovare un vecchio rasoio, lei ce l’ha?”

“Sí”

“E´che ho sempre voluto provare il piacere di una rasatura come quelle di una volta ma non mi é mai capitata l’occasione. Oggi sono passato di qui, ho visto il suo negozio e ho pensato che magari... ma forse lei é troppo giovane e non conosce...”

Il giovane sembra punto sull’orgoglio.

“No, se é per questo so benissimo come fare”

Poi abbassa un po’ la voce “Anche mio padre era barbiere, io faccio questo mestiere da quasi quindici anni, ho imparato tutto da lui”.

Non dico nulla, mi limito a guardarlo dentro nelle specchio. Restiamo qualche attimo in silenzio, nel silenzio della bottega.

“Va bene” dice all’improvviso. Ho l’impressione che dietro a questa accettazione ci sia molto di piú della volontá di accontentare un cliente eccentrico.

In pochi minuti appronta tutto quello che serve, il bicchiere di metallo per il sapone dal leggero profumo di mandorla, il pennello bianco di tasso, la coramella per rifare il filo al rasoio con gesti rapidi e decisi come frustate, l’allume di rocca astrigente per fermare il sangue.

Poi apre un armadietto a muro e dal ripiano in alto prende una cassettina di legno, la apre: avvolto in un panno blu un rasoio con il manico di madreperla che conosco. Rimane immobile un’attimo a guardarlo senza accorgersi che sto vivendo anch’io le sue stesse emozioni.

 

Comincia a insaponare. E a chiaccherare. Il servizio di un vero barbiere richiede l’intrattenimento del cliente con una conversazione piacevole e varia.

Mi parla del turismo, della pesca e dell'acqua alta.

E poi dell'inquinamento di Marghera e dell'incendio della Fenice, con voce garbata, ingentilita dall'accento lagunare.

Io mi abbandono a quelle cure attente e sapienti. Il contatto con il poggiatesta, l'insaponatura, il pelo, il contropelo...

 

“Oh, chiedo scusa!”

Una leggera puntura mi dice che il rasoio ha inciso la pelle sotto l’orecchio, ma la colpa é mia. Lui mi fatto inclinare la testa da un lato e la mia vista ha inquadrato le fotografie sulla parete.

Sono quasi tutte in bianco e nero: una coppia di sposi, la distanza non mi permette di vederne i lineamenti, un ragazzo in costume su una barca, un gruppo di soldati allineati, alcuni in piedi altri accosciati; tra questi uno con lo sguardo grintoso, magro come un chiodo, l’unico con la baionetta sulla canna del fucile. Mi ero tolto anche gli occhiali per sembrare piú credibile.

Non mi serve esaminare i dettagli, é una copia uguale a quella che ho a casa in fondo a qualche scatola in solaio: la foto ricordo della dodicesima squadra del quarto plotone del terzo battaglione dell'ottantaquattresimo Reggimento Fanteria del corso di addestramento reclute del terzo scaglione del 1968, inconfondibile per l’immagine in prima fila di un magrolino dal piglio pateticamente feroce, lo sguardo miope e la baionetta inastata.

Il mio piccolo movimento di sorpresa ha colliso con il rasoio piú tagliente del mondo.

Il pizzicore aspro dell’allume di rocca sulla piccola ferita mi fa piacere come il panno caldo e umido del dopo rasatura, il massaggio per rilassare la pelle e infine la colonia dolce e inebriante.

"Il signore é servito".

 

Vorrei dirgli che ho conosciuto suo padre ma non avrei molto da raccontargli, certo non i dettagli della prima scopata con quella che non so neanche se poi é diventata sua madre o altre cose di poco conto, in fondo io, in quella bottega fuori dal tempo, sono un intruso, un occasionale passante fermatosi a riscuotere una antica promessa, mi sembrerebbe di profanare l'atmosfera di quel piccolo tempio artigiano anche solo lasciando il segno della mia identitá tra quei soldatini della fotografia.

 

Il motoscafo da Chioggia a Santa Lucia mi costa una schioppettata ma mi rassegno, questa ormai é una giornata fuori controllo.

 

Lei é lí all’inizio del binario, immobile, con gli occhi arrossati e l’espressione della bambina che dice “non lo faccio piú”. Uno spot giá visto cento volte.

Mi avvicino e mi fermo davanti a lei. E´bellissima, si alza in punta di piedi, socchiude gli occhi e appoggia le sua labbra alle mie.

“Scusa” sussurra. Ma improvvisamente si ritrae.

“Di chi é questo profumo?!”

Aaah, siamo daccapo, e adesso chi la convince che sono stato dal barbiere?

Balbetto qualcosa ma le mie parole sono coperte dall’altoparlante. “Treno rapido per Milano delle 18.05 é in partenza al binario 6. Ferma a Mestre, Padova, Vicenza, Verona...”