Gente che va...

ottobre 2009

 

Sergente della marina militare, aveva viaggiato per mare per piú di vent’anni e conosceva i porti di mezzo mondo.

Quando scendeva a terra, in luoghi che non avrebbe saputo trovare sulla carta geografica, prediligeva soprattutto i  quartieri malfamati.

Lí amava perdersi nell’anonimato di luoghi dove nessuno si interessa di nessuno perché nei porti di mare nessuno si ferma, gli individui restano per un giorno e ripartono forse per sempre.

La vita, come il Grand Hotel di Greta Garbo, è un porto di mare, gente che va, gente che viene.

Nei bassifondi delle cittá di mare i volti di quelli che incontri sembrano sciogliersi nelle volute fumose di un tempo senza futuro, nessuno merita di essere ricordato.

In mezzo a tutti quei nessuno lui finalmente si sentiva qualcuno: ti togli la divisa e di colpo diventi invisibile.

Tutti abbiamo sognato almeno una volta di essere invisibili, di entrare nelle case, di essere presente a fatti senza essere visto. Essere nulla  per potersi permettere una quasi-onnipotenza.

Non ci sono ambizioni nelle locande del porto, non ci sono personalitá, solo l’essenza vera e cruda dell’umanitá: è lí che, se stai fuggendo da qualcosa, è il posto migliore dove nascondersi, nessuno ti conosce, nessuno si importa di te, non hai bisogno di una maschera, di un’immagine e tocchi con le dita l’essenza della vita, i limiti posti agli uomini dal peccato originale, e capisci la nullità del genere umano costretto a costruirsi scenari da opera lirica per affrancarsi dalla sua atavica miseria terrena.

L’amore mercenario di donne che parlano mille idiomi non sfumano la rabbia di capire che in fondo sei qui solo ad aspettare di morire, non spengono l’odio per tutti quelli che ti circondano, ciascuno nel proprio costume di carnevale, facendo un’ ipocrita riverenza alla tua maschera, quella che vedono in te o quella che tu vuoi mostrare loro.

Cosí ti trascini dietro la vita insieme all’ombra per terra e cerchi qualcosa per riempire il vuoto che hai dentro; il peggiore scherzo che Dio abbia potuto fare agli uomini è aver dato loro un’anima e aver lasciato a loro il compito di darle un senso.

Un animale è sazio quando ha riempito lo stomaco ma un uomo è appagato solo quando è felice e la felicità è come un lume che vedi tremolare lontano sul mare quando esci da una locanda di quart’ordine svuotato nei sentimenti, nei pensieri, nelle gonadi e nel portafoglio.

E domani una nuova rotta, un nuovo mare, un nuovo porto ma sempre la stessa rabbia disperata.

Finché un giorno aveva deciso che basta. Con i soldi del congedo dalla Marina aveva comperato un terreno lungo la statale BR 101 e aveva impiantato una coltivazione di verdure, si era sposato e adesso la sua piú grossa preoccupazione erano i parassiti che assaltavano le sue insalate.

Non si sa se è la crudeltà intrinseca del mare, se è una tradizione che ha radici nei tempi delle grandi navigazioni con la sete, la mancanza di donne, lo scorbuto e la paura dell’ignoto, ma quelli della Marina sono sempre i piú bastardi; nei colpi di stato militari il lavoro piú sporco storicamente è sempre loro e Arnaldo era sempre stato un vero marinaio, in mare e in terra.

Cosí, dopo un certo tempo di noiosa normalitá, Arnaldo era tornato  a navigare, ma questa volta per le bettole di Canguaretama, Goianinha e Baia Formosa.

Un po’ di cachaça per carburare, poi la ricerca di un’occasione per menare le mani che regolarmente non mancava di trovare.

La scuola della Marina gli aveva insegnato una serie di colpi proibiti che gli davano ragione sui malcapitati interlocutori. Maestro di provocazione, una pacca “amichevole” un po’ troppo energica sulle spalle di uno sconosciuto, una stretta di mano a tenaglia estorta a un avventore un po’ stupito, un complimento pesante a una ragazza erano gli ingredienti certi per scatenare la rissa e sfogare il suo odio contro se stesso e tutti gli altri.

 

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“Hanno ammazzato Valdomiro”

“Come?”

“Sí, hanno ammazzato Valdomiro, quello della verdura”

“Chi è stato?”

“Bandidos”

Mi viene una stretta al cuore; Valdomiro è quello che passa  due volte la settimana e che ci fornisce di lattuga, cicoria, carote, melanzane… Le compera nelle coltivazioni qui intorno e riempie un carrettino trainato dalla bicicletta.

Ha quasi sessantanni, portati alla brasiliana nordestina, profonde rughe sul viso magro e  abbronzato, i denti disordinati nella bocca sempre atteggiata al sorriso, lo sguardo  vivace e allegro di chi sa ridere con gli occhi. Ogni volta mi vergogno un po’ per la misera spesa che mi chiede per la verdura colta in giornata e portata sulla porta di casa e le simpatiche quattro chiacchere sulle banalità quotidiane.

Chi mi ha dato la notizia è un vecchietto un po’ stordito, che passa la maggior parte del tempo che ancora gli rimane, seduto sui gradini della chiesa davanti casa mia. A volte penso che stia lí come a un capolinea aspettando l’ultimo trasporto o forse semplicemente quello è il miglior punto di osservazione di tutto il piccolo mondo che ruota  a Barra do Cunhaú.

Rientro in casa e mi verso la prima cosa forte a portata di mano. Tengo stretto il bicchiere tra le mani guardando nel vuoto; mi chiedo perché l’umanitá a volte puó essere cosí cattiva e mi sembra di risentire il suo grido caratteristico; ogni ambulante ha un richiamo tutto personale.

Valdomiro era una di quelle persone a cui ti accorgi di volere bene e non riesco a capacitarmi di non vederlo piú. Mi mancherà; ho sempre pensato di fargli una foto ma come spesso mi succede rimando le cose finché non sono piú possibili.

E ancora mi ritorna il suo verso che rompe il silenzio mattutino della piazza.

“Ma…” salto dalla sedia e corro ad affacciarmi dalla terrazza: il sorriso sgangherato di Valdomiro è lí come sempre…

“Bom dia compadre. Ho la rucola fresca!”

Scendo di corsa e lo prendo istintivamente per le spalle. Restiamo tutti e due un po’ imbarazzati. Il vecchietto dai gradini della chiesa lo guarda fisso con i suoi occhi acquosi.

“Non sono morto, non io perlomeno” Qualcuno deve aver detto in giro che avevano fatto fuori quello della verdura e il passaparola gli ha automaticamente dato un nome, ma quello sbagliato.

“Hanno ammazzato Arnaldo, stamattina, al grande distributore di benzina della Texaco sulla BR 101”

Io Arnaldo lo conoscevo solo di vista e fino a quel momento non avevo mai saputo nulla di lui.

 

Valdomiro si siede sul bordo del marciapiedi e si arrotola una sigaretta.

“Gli hanno sparato, erano in due. Era uno che amava provocare risse e picchiava duro. Se la prendeva con gente apparentemente inerme ed era gioco facile massacrarli. Solo una volta aveva avuto la sfortuna di aggredire un poliziotto in borghese a Goianinha.

Questo qui, che era probabilmente meglio addestrato di lui, gli aveva buttato fuori tre denti, fratturato la mandibola e il setto nasale.”

 

In Brasile la violenza è un Bene Culturale attentamente salvaguardato. Leggi da Repubblica delle Banane, garantiste per il delinquente e mai per la vittima, permettono che se Tizio ti massacra di botte, e tu per paura non sporgi denuncia, l’autoritá non puó procedere, se invece lo denunci, e il fatto non è avvenuto in presenza della polizia, non c’è flagranza e quindi il delinquente rimane a piede libero, libero di venirti ad ammazzare, e probabilmente lo fará, cosí impari per poi sparire per qualche tempo in  questo immenso paese dove nessuno saprebbe come trovarti.

Strani meccanismi della legge, che un comune avvocatello sa sfruttare, permettono che il processo non venga mai istruito, poi, passato un certo tempo, tutto va in prescrizione e tornano tutti galantuomini.

 

“E’ rimasto in ospedale tre settimane; quando é uscito, dato che lui non aveva paura di nessuno, ha preso la moto ed é andato a Goianinha a denunciare il fatto.

Entrato in questura si era trovato di fronte, questa volta in divisa, il suo castigamatti e aveva dovuto fare dietro-front rapidamente prima che gli venisse servito anche l’ammazzacaffé.

Per un po’ di tempo è stato quieto ma poi ha ricominciato e qualcuno stavolta gliel’ha fatta pagare. Cosí è la vita, meu compadre”. E con un lungo tiro trasforma la sigaretta in una voluta di fumo.

 

Volevo scrivere qualcosa su questo fatto e cosí sono andato in giro ad intervistare la gente.

 

Toda, la mamma della Veronica:

“Se l’è cercata, era un attaccabrighe, pare che ci sia una lista lunga cosí di gente che é passata per le sue grinfie. L’ultimo fatto è successo nel bar di Gilmar qui di fronte, C’era una coppia, marito e moglie, di avvocati attempati a un tavolo. Dicono che ha teso la mano verso l’uomo per salutarlo e quando questo, nonostante non si conoscessero, ha ricambiato la stretta, Arnaldo con uno strattone l’ha fatto cadere dalla sedia e poi ha cominciato a picchiare.

Sono intervenuti tutti ma ognuno ha ricevuto la sua parte di percosse. Alla fine ha sollevato di peso il poveraccio e l’ha scaraventato fuori sull’asfalto.

Nessuno ha sporto denuncia.

Ma forse questa volta qualcuno ha fatto intervenire una qualche autorità alternativa, capisci cosa voglio dire?” e riprende a spennare la gallina.

 

Iran, il gommista:

“Non so se hai sentito i fuochi domenica sera, dall’altra parte del paese vicino al torrente. Hanno fatto una festa e sparato fuochi d’artificio. Hanno festeggiato la morte di quello lí. Io per fortuna non ho mai avuto a che fare con lui ma sono contento che l’abbiano fatto fuori. Questo è l’unico modo qui per risolvere queste cose, la polizia non puó prendersi carico di tutto” Il figlio di dodici anni, che lo aiuta nel lavoro e che ha seguito tutta la conversazione, annuisce pensieroso.

 

José, il gestore del distributore Texaco:

“E’ arrivato qui alle otto come tutte le mattine per fare colazione al bar.”

 Racconta scacciando una mosca petulante.

“E’ sceso dalla macchina. Sono apparsi due a viso scoperto, gente mai vista prima. Uno si è messo tra lui e l’auto, l’altro gli è andato incontro e lo ha chiamato per nome. Quando lui ha risposto, hanno estratto le pistole e hanno cominciato a sparare.

Doveva essere un uomo molto forte. Anche se ferito ha cominciato a correre in direzione degli uffici, ha fatto quasi trecento metri di corsa con i due che continuavano a sparargli.

Alla fine è caduto proprio davanti alla porta del contabile. Lo scorso Carnevale  Arnaldo lo aveva picchiato sodo e adesso si trovava lí ai suoi piedi con otto pallottole in corpo.

I due si sono fermati sopra il corpo che ancora tentava di trascinarsi sui gomiti e gli hanno tirato tre colpi alla testa, poi senza molta fretta hanno attraversato la 101 e sono scomparsi nei campi di canna da zucchero. Probabilmente gente venuta da lontano, non li troveranno mai”

“E la polizia?”

“Hanno fatto qualche domanda ma qui nessuno ha visto niente. Perché mai dovrei aver visto qualcosa?” e con un gesto improvviso spiaccica la mosca posata sulla guancia e poi si pulisce la mano sulla tuta.

“L’olio è a posto?”

Le auto e i camion arrivano, ripartono, come in un film giá visto, gente che va, gente che viene.

 

Mentre guido verso casa mi prometto che giovedì prossimo, quando viene, sparo a Valdomiro.

Una decina di foto.